La Sveglia di Giulio Cavalli

By: Giulio Cavalli
  • Summary

  • Dal lunedì' al venerdì, ogni mattina, la sveglia per il quotidiano La Notizia. E poi le letture. E tutto quello che ci viene in mente.

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Episodes
  • Il turismo italiano affonda (insieme alla credibilità della ministra)
    Nov 15 2024
    Non bastavano le grane giudiziarie a rendere traballante la poltrona della ministra Daniela Santanchè. Ora ci si mettono anche i numeri - quelli veri - a certificare il fallimento della gestione a propulsione sovranista del turismo italiano.

    Mentre ad agosto la ministra si pavoneggiava annunciando trionfalmente che "sempre più turisti, soprattutto stranieri, scelgono di vivere l'estate sotto il sole italiano", i dati Eurostat raccontavano una storia ben diversa. Come rivelato dall'analisi di Lorenzo Ruffino nella sua newsletter, l'Italia si è guadagnata il poco invidiabile primato di peggior performance turistica in Europa: 208 milioni di pernottamenti tra giugno e agosto 2024, con un calo dell'1,9% rispetto al 2023. E mentre la media europea cresce dello 0,9%, noi perdiamo terreno insieme a Serbia e Francia in una classifica che vede brillare il Lussemburgo (+20,5%) e persino l'Albania (+16,1%).

    Ma il dato più allarmante è la fuga dei turisti italiani: -5,8% rispetto all'anno scorso. Per la prima volta dal 2011, gli stranieri (106 milioni) hanno superato i connazionali (102 milioni) nei pernottamenti estivi. Un segnale inequivocabile che la tanto sbandierata "estate italiana" sta diventando sempre più inaccessibile proprio per i connazionali. Mentre la ministra si destreggia tra aule di giustizia e dichiarazioni roboanti, il turismo italiano perde colpi.

    E non serve essere esperti di economia per capire che se persino l'Albania ci surclassa nella crescita turistica, forse è il caso di ripensare non solo le politiche di settore, ma anche a chi le gestisce. La verità è che non si può guidare il turismo italiano come si gestisce un Twiga qualsiasi. E i numeri, quelli veri, sono lì a dimostrarlo.

    La verità è che non si può guidare il turismo italiano come si gestisce un Twiga qualsiasi. E i numeri, quelli veri, sono lì a dimostrarlo.

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    2 mins
  • L’osteria dei media e della politica: Elon Musk raccoglie l'eredità televisiva di Berlusconi
    Nov 14 2024
    Non ci vuole molta fantasia per capire l’impatto che Elon Musk potrebbe avere sui cittadini USA e sugli Stati Uniti nel palcoscenico internazionale. Noi italiani quel film l’abbiamo già visto.
    Il 26 gennaio 1994, un miliardario proprietario del media più importante del momento (la televisione) annunciò il suo ingresso in politica. La promessa era la stessa: contrastare la sinistra e portare un'impronta imprenditoriale e modernizzatrice nel sistema politico. Le voci a favore erano simili a quelle che si sentono ora per Musk: “Se un uomo ha avuto tanto successo nella vita, perché non dovrebbe portare tutti noi al successo come le sue aziende?”
    L’Italia promessa da Silvio Berlusconi stava tutta nelle sue televisioni: donne bellissime per spingere gli ascolti e quindi i consumi; linguaggio greve per rivendicare un nuovo modello di libertà, quella di badare ai propri interessi senza disturbi; un inno alla ricchezza insieme allo sdoganamento dei poveri come falliti; attacchi contro il fastidio portato dalla magistratura e dalle regole (ve lo ricordate Sgarbi nella sua trasmissione “Sgarbi quotidiani”?); il mito del self-made man, che deve essere messo in condizione di decidere da solo senza l’impiccio dei meccanismi istituzionali.
    Come sia andata lo sappiamo bene, ce lo ricordiamo (quasi) tutti. Il mondo di Elon Musk sta nel suo potentissimo social X, trasformato in un’osteria di squinternati in cui vince chi spara il complotto più grosso, dove la calunnia è scambiata per informazione e il falso è “la verità nascosta”.
    Un’altra cosa accomuna Berlusconi e Musk: la politica è la via indispensabile per proteggere gli affari e trovare riparo giudiziario. L’abbiamo già vista, questa storia.

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    2 mins
  • La doppia faccia di Meloni non inganna nemmeno Trump
    Nov 13 2024
    C'era una volta una premier che sognava di essere il ponte tra due mondi, ma ha dimenticato che i ponti si costruiscono con solide fondamenta, non con gli specchi. Giorgia Meloni, nella sua personale favola di ascesa internazionale, aveva immaginato di poter interpretare il ruolo della grande mediatrice tra Trump e l'Europa, dimenticando però un dettaglio non trascurabile: per mediare bisogna essere credibili da entrambe le parti.

    E invece ecco che arriva Steve Bannon, l'architetto del trumpismo, a frantumare questo castello di carta con la delicatezza di un elefante in una cristalleria. "Non abbiamo bisogno di nessuno in Europa", tuona l'ex stratega della Casa Bianca, aggiungendo quella che suona come una stilettata: "Sii ciò che eri quando Fratelli d'Italia era al 3%". Traduzione per i non addetti ai lavori: cara Giorgia, smettila di giocare a fare la statista moderata, torna a urlare dai palchi, eri meglio.

    Il problema di Meloni è che ha cercato di cavalcare due cavalli contemporaneamente: da una parte l'atlantismo di facciata per compiacere Washington, dall'altra lo strizzare l'occhio ai sovranisti europei. Ma nella politica internazionale, come nella vita, non si può essere contemporaneamente candela e vento. E ora che Trump si prepara a riconquistare la Casa Bianca, il MAGA movement le fa sapere che non ha bisogno di intermediari in Europa: ha già i suoi Le Pen, Farage e Orbán di riferimento.

    La premier italiana si ritrova così in un limbo politico: troppo moderata per i trumpiani, troppo sovranista per i democratici. Un'ambiguità che porta sempre a un solo risultato: l’irrilevanza strategica.

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